
Un traguardo storico per l’oceano
Dopo anni di intensi negoziati e campagne internazionali, l’High Seas Treaty ha finalmente raggiunto le 60 ratifiche necessarie per entrare in vigore. Dal 17 gennaio 2026 questo accordo sarà legalmente vincolante, segnando un passaggio epocale nella storia della governance dell’oceano.
Si tratta del primo strumento internazionale che stabilisce regole chiare e condivise per la conservazione delle acque internazionali, quelle che si estendono oltre i confini dei singoli Stati e che rappresentano quasi due terzi degli oceani e circa metà della superficie del nostro Pianeta.
Cosa prevede il trattato
Il cuore del trattato è la protezione della biodiversità marina in alto mare, una riserva di vita e risorse ancora poco conosciuta ma fondamentale per l’equilibrio climatico globale. Tra i punti principali:
• la possibilità di creare aree marine protette in zone critiche e vulnerabili;
• l’introduzione di valutazioni di impatto ambientale per qualsiasi attività economica, dalla pesca all’estrazione mineraria in profondità;
• misure per contrastare la pesca eccessiva e regolare le nuove frontiere dello sfruttamento marino;
• strumenti di cooperazione e condivisione equa delle conoscenze e dei benefici derivanti dalle risorse genetiche degli oceani, a vantaggio anche dei Paesi in via di sviluppo.
Perché è una svolta globale
L’oceano copre oltre il 70% del pianeta e le sue acque internazionali sono state a lungo una sorta di “far west”, prive di tutele efficaci. Con questo trattato, per la prima volta, la comunità internazionale dispone di un quadro giuridico comune per bilanciare conservazione e sviluppo.
Il High Seas Treaty contribuisce anche al raggiungimento degli obiettivi globali come il Global Biodiversity Framework, che punta a proteggere almeno il 30% di terre e oceani entro il 2030 (target 30x30).
Una vittoria della cooperazione internazionale
La ratifica del trattato è il risultato di un impegno collettivo che ha coinvolto governi, scienziati, organizzazioni non governative, fondazioni, comunità indigene e giovani attivisti. È la prova che il multilateralismo funziona quando si lavora insieme per il bene comune.
Come ha sottolineato la High Seas Alliance, questo momento “non è il traguardo finale, ma solo l’inizio”: la vera sfida sarà trasformare l’accordo in azioni concrete per salvaguardare la salute dell’oceano.
I prossimi passi
Con l’entrata in vigore del trattato, sarà convocata la Conferenza delle Parti (CoP) entro la fine del 2026, dove i Paesi definiranno come rendere operativi gli strumenti previsti. Alcune aree candidate a diventare zone marine protette sono già sotto osservazione, come il Sargasso Sea nell’Atlantico, il Thermal Dome nel Pacifico e i sistemi di dorsali oceaniche nel Sud Pacifico.
L’obiettivo ora è arrivare a una ratifica universale, così da garantire che la protezione delle acque internazionali sia davvero globale e non lasci spazi vuoti.