
La Conferenza delle Parti (COP), che si tiene annualmente, è il momento politico in cui le nazioni dovrebbero tradurre in azioni concrete le indicazioni degli scienziati sullo stato del clima del Pianeta. A Sharm El Sheik, la COP numero 27, che si è aperta il 6 novembre, si è appena conclusa all'insegna di azioni concrete, dopo che il vertice precedente, la COP26 di Glasgow nel 2021, aveva incardinato alcuni concetti fondamentali. Ciò che emerge, tuttavia, è un quadro di grandi contraddizioni e poche azioni.
Sulla adattamento fronte, cioè quella serie di azioni da intraprendere immediatamente per attenuare i gravi colpi della crisi climatica subiti dai paesi più vulnerabili, le Parti hanno fatto il punto sugli impegni presi alla COP21 di Parigi nel 2015. In quell'occasione, i paesi più ricchi promisero 100 miliardi di dollari entro il 2020, una cifra che già allora sembrava insufficiente. Ora, con due anni di ritardo, solo 80 miliardi sono stati concretamente impegnati. Prontamente, il testo elaborato a Sharm-el-Sheik alza nuovamente l'asticella, chiedendo ora 200 miliardi di dollari, ma lo fa con contorni troppo sfumati per essere efficace. Con quale credibilità viene fatta questa richiesta? Si tratta di aiuti a fondo perduto per i paesi estremamente poveri per raggiungere un'azione climatica giusta ed equa, o sono prestiti che genereranno poi altre dipendenze economiche meno virtuose?
Riguardo mitigazione, il che significa la serie di azioni da mettere in atto per ridurre la concentrazione di gas serra nell'atmosfera o per limitarne le emissioni, la situazione è ancora peggiore. Il testo finale ribadisce che, per evitare situazioni disastrose e ingestibili, è necessario non superare la soglia di +1,5 °C di riscaldamento globale entro il 2100, rispetto al 2000. Ma le decisioni necessarie per raggiungere questo obiettivo non sono state prese. È come prescrivere a una persona malata di guarire entro la fine della settimana, senza indicare il trattamento. In questo caso specifico, il testo non affronta la questione dell'abbandono dei combustibili fossili e non stabilisce il 2025 come l'anno in cui le emissioni devono iniziare a diminuire. Ancora una volta, si decide di aspettare la prossima COP, durante la quale i singoli paesi presenteranno i loro impegni rivisti (al rialzo) per non superare un aumento di 1,5 °C entro la fine del secolo.
Tuttavia, ci sono alcuni aspetti che possono essere considerati una timida vittoria. Per quanto riguarda il metano, un altro gas serra (molto più potente dell'anidride carbonica), 150 firmatari si sono uniti per firmare un patto volto alla sua drastica riduzione, anche se Cina, India e Russia sono ancora assenti da questo accordo.
Inoltre, il documento finale contiene parole significative sul 'diritto a un ambiente sano, pulito e sostenibile', menzionando che saranno necessari tra i 4.000 e i 6.000 miliardi di USD per investire nelle energie rinnovabili al fine di raggiungere la completa decarbonizzazione entro il 2050. Questi rappresentano riconoscimenti tardivi che devono essere supportati da azioni concrete.
L'unico successo importante riguarda la questione di 'perdite e danni', cioè la necessità di riconoscere ad alcuni paesi i danni e le perdite subiti a causa di emissioni che, di fatto, sono state causate da altri paesi. Questo rappresenta un significativo passo avanti e il risultato di negoziati raggiunti in extremis, che hanno portato all'istituzione di un fondo per i paesi più poveri e vulnerabili. È un peccato che si sia deciso di aspettare fino alla prossima COP, nel 2023, per vedere i dettagli di questa azione economica.
Nonostante la certezza che gli impatti catastrofici della situazione climatica attuale possano essere evitati solo con tagli drastici e urgenti alle emissioni di gas serra; nonostante il fatto che questa COP abbia finalmente riconosciuto un riferimento esplicito ai "punti di non ritorno" e al fatto che il processo di riscaldamento potrebbe non avvenire in modo graduale e lineare, ma che esiste un reale rischio di innescare cicli di retroazione che porteranno a effetti in rapido aumento; nonostante la riaffermazione del ruolo centrale dell'oceano nella questione climatica, le azioni proposte erano ancora una volta conservative e inadeguate.
La COP27 si chiude con una serie di considerazioni sicuramente importanti, ma che purtroppo sembrano avere 20 anni di ritardo. C'è la sensazione di assistere sempre a spettacoli fuori tempo, che portano in scena cose scritte e anticipate dalla comunità scientifica da molti anni. Uno di quei film in cui il doppiaggio è fuori sincrono, in ritardo, dove le voci si sentono ora ma i gesti e le azioni reali sono già stati compiuti prima, in un perpetuo e tragico fuori tempo.
Il documento finale include temi che sono indubbiamente utili per definire la situazione in modo ufficiale, ma nel complesso può essere definito come 'troppo poco, dopo tutto questo tempo', un continuo 'decidere di non decidere', affidando al prossimo Vertice azioni molto più pesanti di quelle che le Parti non hanno avuto il coraggio di intraprendere ora.
Non è con questo passo che cambieremo il corso di una crisi climatica che è già entrata nel suo apice.